In Italia un dipendente su due non è motivato: solo colpa della crisi?

Dic 11, 2011 6 Comments in Comunicazione Interna, News by

Secondo una ricerca effettuata da Towers Watson, società di consulenza internazionale, in Italia un dipendente su due dichiara di essere insoddisfatto del proprio lavoro.

E’ il livello di soddisfazione più basso in Europa (52%), dietro al Regno Unito, con il 60% di dipendenti che si sentono appagati e impegnati, a Germania, Irlanda e Belgio con il 65% di dipendenti motivati e alla Svizzera (72%). Quali sono le ragioni?

La ricerca evidenzia come l’impatto della crisi economica sia stato rilevante, mettendo in discussione molte certezze e modificando, spesso in modo permanente, le aspettative delle persone. Ma lo studio mette in evidenza anche il ruolo ricoperto da pratiche e comportamenti organizzativi che vanno ripensati alla luce del mutato scenario.

La ricerca mette in rilievo come la leadership esercitata non solo dai top manager ma anche dai capi intermedi appaia un elemento cruciale. Più la situazione è difficile e maggiore è la capacità di coinvolgimento e motivazione che la base richiede ai propri referenti: maggiore presenza, maggiore comunicazione, maggiore vicinanza alle persone, maggiore condivisione di obiettivi e strategie.

La motivazione non può essere disgiunta dalla consapevolezza. Manager consapevoli degli scenari e degli obiettivi sono in grado di prendere decisioni migliori. Collaboratori consapevoli del perché di determinate scelte e della posta in gioco possono essere maggiormente coinvolti.

Se la consapevolezza è la pietra angolare della motivazione, il riconoscimento è la chiave di volta: valorizzare manager e collaboratori, il loro ruolo, il loro apporto e i risultati raggiunti è fondamentale. Ma il riconoscimento passa per l’ascolto.

E qui occorre fermarsi a riflettere su come viene costruita la comunicazione interna nelle organizzazioni aziendali.

Ammetto di avere un’esperienza limitata di comunicazione interna dato che abitualmente mi occupo di comunicazione esterna. Negli ultimi dieci anni ho però avuto più volte occasione di sviluppare anche progetti di comunicazione interna: dal merger di grandi aziende fino a casi di change management. Una cosa mi ha colpito: mentre nella comunicazione esterna il consumatore diventava sempre più importante e assumeva un ruolo sempre più attivo, poco è cambiato nella comunicazione interna, che, tranne rari casi, continua a essere gestita con criteri verticistici e top down.

Quale consapevolezza può crescere in un’organizzazione che comunica in modo top down? Quale motivazione può essere coltivata tra i collaboratori che sono solo destinatari passivi di comunicazioni?

Pensando alle convention, trovo estremamente azzeccato un episodio di Desperate Housewives:

Ancora oggi molte convention vengono costruite in questo modo, come una predica, una celebrazione monodirezionale in cui gli interventi della platea sono inaspettati e non attesi.

Un paio di anni fa, un cliente per il quale facevo consulenza di comunicazione esterna mi chiese un supporto per organizzare la convention. Era un momento di cambiamento aziendale e di riorganizzazione in cui era fondamentale ricompattare e motivare i dipendenti. Proposi allora di dividere la convention in due momenti: uno classico, dedicato al top management e alle comunicazioni di risultati e obiettivi e uno totalmente ribaltato, dedicato ai dipendenti con il management in platea.

Circa tre mesi prima della convention vennero identificati, d’accordo con il management, alcuni temi (organizzazione interna, innovazione, razionalizzazione delle risorse, ecc.) attorno ai quali vennero creati, per adesione spontanea, gruppi di lavoro interfunzionali che svilupparono proposte presentate in convention. Attorno a queste presentazioni  venne anche organizzato un barcamp durante il quale anche chi non aveva partecipato ai gruppi poteva iscriversi e presentare la propria opinione.

Il successo e il gradimento interno dell’operazione furono altissimi. Non era mai accaduto che un dipendente parlasse in convention! Non solo: il tasso di innovazione emerso dai gruppi interfunzionali al lavoro sulle tematiche fu enorme e molte idee vennero successivamente applicate con ottimi ritorni economici. Dopo la convention la motivazione dei collaboratori era tangibile e il coinvolgimento dei dipendenti portò a ulteriori modifiche organizzative che si tradussero in maggiore efficienza. Ogni collaboratore si sentiva realmente artefice del successo della propria azienda.

Arrivare a questo risultato richiede però un ripensamento dei meccanismi della comunicazione interna. Occorre accettare un modello interattivo e induttivo che sostituisca il modello esplicito e top down. Significa accettare di perdere il controllo totale sulla comunicazione per concentrarsi sui valori e sui temi e lasciare che il dibattito trovi la propria strada – come succede, in ogni caso, quando i dipendenti si incontrano alla macchina del caffè – intervenendo e gestendo il dialogo.

Se le aziende accettano che il consumatore sia ormai diventato consapevole e interpreti e rielabori le informazioni che arrivano dall’azienda con quelle che raccoglie da altre fonti, perché è così difficile trattare allo stesso modo i dipendenti?

E’ arrivato il momento di passare dalla comunicazione interna all’Internal Marketing?

Alessandro SantambrogioLiquid

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