9 lezioni dal discorso di Clinton

Set 10, 2012/ 6 Comments / in Marketing, News / by Alessandro Santambrogio

Comments (6)

Pier Lodigiani Settembre 10, 2012 at 2:26 pm

Caro Alessandro, ovviamente concordo in pieno e credo che i punti di apprendimento da te puntualmente evidenziati siano un decalogo – forse non particolarmente originale – ma considerando lo stato dell’arte, decisamente necessario. Io ho avuto la fortuna, molti anni fa, di assistere “live” a un discorso di Bill Clinton (nel corso, se non ricordo male, di un “convegnone” Assocomunicazione) e anche io avevo rilevato alcuni punti di apprendimento sorprendenti. Provo a sintetizzarli. Perdonami se sono in gran parte riformulazioni di quanto da te così chiaramente esposto, ma come ho detto prima, a forza di ripetere (e riformulare), magari anche da noi passa il concetto che saper parlare in pubblico non è solo questione di posture e manualetti di public speaking in in 24 ore. Innanzitutto il buon vecchio Bill (e ascoltando il suo discorso potremmo definirlo diversamente?) è “autentico”. Nel senso che “sente”, e profondamente, quello che dice. E’ lui il primo ad essere appassionato. Si comporta, in grande stile ovviamente, come chiunque di noi, quando è chiamato ad affrontare un argomento in cui è intimamente coinvolto con persone a cui tiene. Sarà naturalmente convincente e persuasivo. E naturalmente agli antipodi rispetto a certe dinamiche “seduttive”, che – mi spiace per chi ha speso molti quattrini per apprenderle – non seducono più proprio nessuno. Nel caso di Bill probabilmente si tratta di carisma personale (ne ha da vendere). Ma sicuramente ha saputo fare anche di necessità virtù, per uscire fuori da quell’oceano di fango chiamto sex gate e che lo aveva incoronato re dei bugiardi su scala globale. In secondo luogo Billy è decisamente “democratico” (non nel senso di “democrat”). Parla da cittadino ai cittadini, da cittadino impegnato, senza alcun bisogno di “casacche”. E questo gli consente, oltre che di essere diretto, di essere credibile, laddove il ruolo, nella comunicazione politica come in quella aziendale, delimita un perimetro organizzativo e di competenza ma non è più garante di soggezione d’ascolto passivo. E’ inoltre educato e rispettoso e – mi si permetta – non sono due frivoli attributi da manuale di bon ton. Sono il segnale di un mondo che è cambiato. Che alla “vis polemica” del duello contrappone la forza dell’affermazione dei propri contenuti. Non è un caso che a Milano, il colpo basso inferto a Pisapia da Letizia Moratti nel dibattito televisivo abbia contriìbuito considerevolmente e senza possibiltà di recupero alla disfatta elettorale della medesima. Inoltre, il buon vecchio Bill, è “gestaltico”. Fa emergere un tema dallo sfondo, lo porta in figura e lo affronta quasi parlando con il tema stesso e non nascondendo, ma anzi amplificandone le risonanze emotive. Poi lascia che la figura ritorni sullo sfondo per permettere al tema successivo di rendersi percepibile. E in virtù di ciò riesce ad essere empatico. Osservando la reazione del pubblico è più che evidente che gli applausi non sono un segno di entusiasta ammirazione. Sono un chiaro segnale di condivisione, anche emotiva, nell’ambito di una relazione profonda. Mi fermo qui. Anche perchè il resto è America e quindi la forza di credere nel sogno, della reivenzione e tutto il resto. Compresa la capacità di saper dire cose talvolta banali ma che come gli americani, nessuno è capace di dirle. Questo si, è questione di DNA e ovviamente non si impara. Ma forse, se i nostri politici, gli uomini di azienda e chi li affianca invece di affannarsi tanto a risolvere il conflitto tra essere e apparire lavorassero su un più sano, fertile ed efficace “diventare” saremmo già a buon punto. Anche se il “diventare” si fermasse a se stessi.
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- alesantambrogio Settembre 10, 2012 at 9:12 pm
  
  Ciao Pier, grazie per la lunga riflessione.
  In effetti, prima di scrivere il post mi ero interrogato anch’io sull’originalità. Poi ho visto un paio di interventi di politici ai TG e nei talk show … e ho pensato che forse non era originale ma, sicuramente, non così scontato.
  E’ vero, quello che colpisce maggiormente è la differenza di stile, non di contenuti. Come osservo anche nel post, il “vecchio Bill” non è tenero con i Repubblicani, ma siamo lontani anni luce dai toni della politica nostrana (senza necessariamente arrivare ai vaffa di Grillo).
  Il tuo post mi ha fatto riflettere e, oltre a farmi trovare il decimo punto mancante al decalogo – “crederci e essere autentici” – mi ha fatto anche individuare un punto focale: la necessità dell’ideologia.
  Clinton la riassume, ancora una volta, in modo mirabilmente semplice le due visioni del mondo di Democratici e Repubblicani: da un lato il “We’re in this together” contrapposto all’esaltazione dell’individualismo dei repubblicani. Condivisione vs. particolarità.
  Certo, forse è un po’ semplicistica come ideologia o è la semplificazione a essere estrema, ma è una bandiera, un credo, una visione del mondo, qualcosa in cui credere, schierarsi e allineare i propri valori e visione del mondo.
  In Italia forse neanche Clinton riuscirebbe a semplificare (o forse a trovare) l’ideologia dei due (questa sì però che è una semplificazione!) schieramenti politici e a distillarne i valori.
  E ci chiediamo da dove nasca la disaffezione per la politica?
  Grazie
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  - Pier Lodigiani Settembre 11, 2012 at 8:18 am
    
    Si semplice. Ma comprensibile, condivisibile e coinvolgente. Un po’ come “Yes, we can!”. Qui siamo a “non è un mio problema”…E fa un po’ tristezza.
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Laura Parzani Settembre 13, 2012 at 8:46 am

Grazie ad entrambi. Sono d’accordo che sono punti che già esistente che si trovano in ogni testo di public speaking che si rispetti. Tuttavia sono altresì d’accordo che una cosa si conoscere come debba apparire un discorso ben fatto altro è poterlo osservare e applicare a realtà dei nostri giorni. Quindi vi ringrazio per aver portato alla luce questo discorso che probabilmente altrimenti mi sarei persa! Non smettiamo mai di sottolineare ciò che funziona solo perchè rischiamo di essere banali. Le cose banali sono quelle che maggiormente funzionano!
Grazie ancora
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Pier Lodigiani Settembre 11, 2012 at 8:18 am

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