Fare o Essere Comunicazione? Questo è il dilemma

Gen 10, 2012 5 Comments in Comunicazione Integrata, Digital marketing, Marketing by

Content is King. Il Contenuto è il Re. Questa la regola base per avere successo nella comunicazione contemporanea: produrre contenuti in grado di interessare i propri destinatari, ingaggiarli, renderli partecipi, farli diventare essi stesi emittenti dei nostri messaggi o spingerli a co-produrre contenuto. In una parola: coinvolgerli attivamente anziché lasciarli spettatori passivi

Ma quale impatto ha questo assunto sull’organizzazione aziendale? E come deve evolvere la comunicazione aziendale?

Produrre contenuti è un impegno serio e costante, e su questo fronte le aziende italiane mostrano un forte ritardo (come racconta una ricerca dell’Università di Udine). Ma troppo spesso si sottovaluta come l’azienda stessa sia un potente e continuo produttore di contenuti. Quali? certo i nuovi prodotti sono il contenuto più ovvio e raccontato; ma anche le storie di chi li ha creati, di come il prodotto si inserisca nella storia aziendale e nella continuità o, invece, segni una svolta e un cambiamento, le informazioni su come viene prodotto e le storie di chi lo produce, la rilevanza che l’azienda ha per le comunità locali sede degli stabilimenti e molto altro ancora sono contenuti di interesse per pubblici diversi, più o meno vasti, esterni o interni all’azienda. Già, perché non bisogna dimenticarsi che dipendenti, collaboratori e fornitori sono sempre, potenzialmente, i primi ambasciatori del marchio presso le rispettive comunità.

Tutto semplice allora? Non proprio. Cogliere questa opportunità significa essere in grado di modificare il proprio approccio alla comunicazione. Dal “fare” la comunicazione, l’azienda deve trasformarsi in “essere” comunicazione. Un’entità che, in tutte le sue parti, comunica verso l’esterno e verso l’interno coinvolgendo i diversi interlocutori con canali, contenuti e messaggi diversi.

Chi ha detto che un direttore di produzione non possa comunicare con i fornitori (o con l’ufficio acquisti), raccontando l’azienda dal suo punto di vista e scambiando esperienze, opinioni e informazioni utili al suo lavoro? o che un agente non possa abbandonare il copiacommissioni e portare i clienti sul sito dell’azienda (o accendere l’iPad per i più evoluti) e farli colloquiare con il responsabile del reparto Ricerca e Sviluppo (o con l’imprenditore) per capire meglio quali siano le esigenze reciproche? o perché un consumatore deve attendere l’uscita delle riviste per scoprire le nuove collezioni del marchio moda preferito invece di essere coinvolto direttamente nella sfilata?

Un salto culturale – dato che le tecnologie per farlo sono tutte e ampiamente disponibili – che richiede, innanzitutto, uno sguardo nuovo verso l’interno dell’azienda da parte di chi sovrintende alla comunicazione per trovare le storie, ma anche lo sviluppo di un approccio nuovo al rapporto cliente-fornitore (interno o esterno che sia) in un’ottica di scambio reciproco e un costante impegno a valorizzare i propri contenuti verso i clienti.

Un esempio di eccellenza viene da Burberry, lo storico marchio moda, che da qualche stagione ha radicalmente trasformato il suo modo di comunicare e sta guidando l’innovazione nel settore moda aprendosi a una platea planetaria di consumatori soprattutto attraverso i canali digitali e i social media.

Rompendo un tabù decennale che ha sempre visto i giornalisti moda come destinatari privilegiati della comunicazione, nelle ultime sfilate di settembre le uscite in passerella erano anticipate da tweet. Solo durante la mezz’ora di sfilata sono state oltre 50.000 le visite alla galleria fotografica dei look a cui rimandavano i tweet. Inoltre la sfilata, e anche il backstage e le interviste alle celebrity, è stata trasmessa integralmente in live streaming in HD sia sul canale facebook (9 milioni di fan a settembre) sia su quello YouTube con più di 20.000 iscritti e in 50 punti vendita nel mondo. Inoltre i fan potevano ospitare lo streaming nelle proprie bacheche, ampliando ulteriormente la platea.

La strada innovativa di Burberry viene però da lontano: è stato il primo marchio a trasformare la propria sfilata in uno show olografico in 3D  a Pechino e a abilitare l’acquisto online di alcuni capi direttamente dallo streaming della sfilata.

Nel 2009 già lancia Art of the Trench, un microsito – collegato ad app sui principali Social Network – dedicato al capo simbolo del brand inglese. Qui gli utenti possono caricare le proprie foto e le storie che li legano all’impermeabile simbolo anche di personaggi cinematografici personalizzando la relazione con la marca e con il prodotto.

La tradizione (gli inglesi direbbero l’heritage) di una marca storica (ha recentemente festeggiato 155 anni) e dei suoi prodotti viene quindi costantemente attualizzata e personalizzata attraverso un uso della tecnologia non fine a se stesso, ma per creare relazione.

Alla guida di questa trasformazione, Christopher Bailey, il direttore creativo, che è impegnato direttamente nello sviluppo della comunicazione tanto quanto nella creazione delle collezioni. Una sinergia che la dice lunga su come prodotto, brand, attività, persone siano sempre più un tutt’uno comunicativo inscindibile. Su come non sia più possibile, per i CEO o gli imprenditori, demandare la comunicazione, ma debbano essi stessi iniziare a vedere tutto sotto la lente della comunicazione.

Questo richiede un impegno anche personale. Anche di questo  Bailey è consapevole, tanto che posta regolarmente sulla pagina aziendale facebook e dialoga con gli utenti rispondendo alle loro domande e chiamandoli per nome. Un modo per abbattere le barriere e personalizzare l’azienda.

Burberry è citato come case history di successo anche nell’inchiesta  Facebook Likes Fashion! recentemente pubblicata da Pambianco News che analizza il rapporto tra i marchi moda e il più popolare tra i Social Network. L’inchiesta cita il lancio del profumo Burberry Body, anticipato con una campagna facebook in cui, chi diventava fan della pagina, poteva richiedere un campione omaggio. Il risultato? 225.000 campioni richiesti in una settimana e aumento del 40% delle iscrizioni.

Parafrasando un celebre detto, si potrebbe quindi dire Content Matters, il Contenuto è Importante. E impatta sulle prestazioni digitali. La ricerca cita che la pagina Facebook di Burberry ci ha messo un anno per raggiungere quota 1 milione di fan, sei mesi per raddoppiare e 1 solo mese per arrivare a quota tre milioni. E da allora viaggia più o meno stabilmente al ritmo di 1 milione al mese tanto che a fine 2011 ha superato la boa dei 10 milioni.

Certo, direte voi, facile coinvolgere gli utenti se ti chiami Burberry o Victoria’s Secret e hai un brand moda forte. In realtà non è proprio così vero. A Los Angeles c’è una piccolissima impresa di fast food ambulante: niente più di due furgoni che vendono un particolare tipo di menù Coreano seguendo un itinerario di fermate. Il cibo è particolare e ha un suo seguito, una gruppo di veri e propri fan. L’idea brillante? usare Twitter per raggruppare ed espandere la community, informare in modo rapido, anche sul cellulare, sulle prossime fermate del furgone, sul menù del giorno e sulle offerte in modo da permettere, a chi fosse interessato, di raggiungere in tempo la fermata. L’idea ha riscosso successo e, ogni giorno, continua a portare persone che fanno la coda.

Chiudo con un aneddoto personale: qualche anno fa, quando ancora lavoravo in agenzia, approfittammo di un G7 a Firenze per far recapitare a Hillary e Chelsea Clinton, che accompagnavano l’allora Presidente Bill, alcuni prodotti di un cliente. Passa un mese e arriva in agenzia una lettera racchiusa in una busta intestata della Casa Bianca. L’apriamo con un po’ di meraviglia  e, sorpresa, conteneva una lettera di ringraziamento per il regalo con firma autografa (chi può confutarlo in ogni caso? 🙂 di Hillary Clinton.

La morale? Non importa se sei un brand moda planetario, uno sconosciuto fast food ambulante coreano o la Casa Bianca. L’importante è essere consapevoli che ogni cosa che fai può avere interesse per il tuo pubblico, può lasciare un ricordo positivo, può farti guadagnare un cliente. E agire di conseguenza. Solo allora potrai dire di non “fare” comunicazione ma di “essere” comunicazione.

Alessandro Santambrogio – Liquid

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *